I MOTORI DEL CORPO
Nel
mondo degli animali, il movimento è sinonimo di vita. Infatti, dall'ameba
all'uomo, dalla parte più bassa a quella più alta della scala
zoologica, la possibilità di muoversi appare come una delle
caratteristiche essenziali della materia vivente. Si tratti di nuoto, di volo,
di strisciamento o di marcia, gli animali si spostano in
continuazione.
Fra gli unicellulari, l'esempio
più tipico è quello dell'ameba che si muove sulle superfici sia
allungandosi e formando dei falsi piedi («pseudopodi»), sia scorrendo
sul piano di appoggio come un veicolo a cingoli. Ma questa prima soluzione,
l'«ameboidismo», adatta per movimenti striscianti su superfici, si
dimostra insufficiente per spostamenti rapidi in piena
acqua.
Ed ecco che la natura
«inventò» le ciglia e i flagelli, ossia le minuscole fibre che,
in protozoi come il paramecio, battono l'acqua con grande rapidità simili
a minuscoli remi. Ma tali filamenti sviluppano un'energia motrice
insignificante, che basta appena per la locomozione di questi esseri
microscopici. E così, quando un numero sufficiente di cellule si
trovarono unite per formare organismi di maggiori dimensioni, la natura dovette
«inventare» un altro motore interamente originale, in grado di
utilizzare l'energia necessaria per lo spostamento di animali anche molto
voluminosi.
Questa invenzione si chiama
«muscolo», e senza dubbio è una delle più ingegnose
nella storia della vita. Non vi è regione dell'organismo dove i muscoli
non siano rappresentati. Dai maggiori vasi sanguigni ai più piccoli
capillari, il tessuto muscolare assicura la contrazione o la dilatazione. Il
cuore stesso non è altro che un muscolo, anzi il muscolo per eccellenza
perché funziona senza sosta. L'esofago, lo stomaco, l'intestino hanno una
tunica muscolare che permette agli alimenti di scorrere, di essere digeriti e
assimilati. E poi vi sono i muscoli esterni, quelli che ricoprono lo scheletro e
sono i veri attori del movimento perché ossa e articolazioni funzionano
solo come strutture passive.
Il tessuto muscolare
è costituito da fibrocellule, cioè da cellule a forma di fuso,
molto allungate e disposte parallelamente, che ricordano abbastanza da vicino le
fibre del tessuto connettivo
«fibrillare».
La caratteristica più
importante di queste cellule è la loro proprietà di contratti,
raccorciandosi e ingrossandosi. Vi sono due tipi di tessuto muscolare: il liscio
e lo striato.
Il tessuto muscolare liscio è
costituito da fibre lisce, talora lunghissime, in cui sono riconoscibili tutte
le caratteristiche delle cellule. I muscoli lisci formano le pareti muscolari
dei visceri (intestino, utero, vescica, ecc.) la cui attività si svolge
al di fuori della volontà e perciò sono detti anche muscoli
involontari. Per esempio, la peristalsi (contrazioni dall'alto in basso)
dell'intestino, e le contrazioni dell'utero nel parto sono funzioni determinate
dal tessuto muscolare liscio, e perciò
involontarie.
Il tessuto muscolare striato, a sua
volta, è costituito da fibrocellule dette striate perché, a
differenza di quelle lisce, presentano una regolare successione di strisce
chiare e scure, disposte trasversalmente sul corpo di ogni fibrocellula. Il
tessuto muscolare striato forma i muscoli volontari del corpo, quelli che si
muovono sotto l'influsso della volontà, come i muscoli delle braccia,
delle gambe, del tronco. Fa eccezione il cuore che, benché costituito da
tessuto muscolare striato, compie la sua funzione contrattile al di fuori della
volontà.
I muscoli che con lo scheletro
partecipano alla costituzione dell'apparato locomotore umano sono circa 500 e
sono tutti muscoli striati, cioè
volontari.
Essi ricoprono quasi interamente lo
scheletro e contribuiscono a determinare la forma del corpo. Secondo la loro
situazione, si dividono in muscoli superficiali o pellicciai, che sono posti
immediatamente sotto la pelle e in connessione con essa; e in muscoli profondi,
che si collegano con le ossa alle quali imprimono i movimenti mediante la loro
contrazione.
I muscoli striati sono formati da una
parte mediana libera, il «corpo», e da due estremità
«capi» con cui si inseriscono su due diverse ossa che essi, quando si
contraggono, tendono a far avvicinare l'una all'altra. La connessione tra
muscolo e osso avviene direttamente, oppure indirettamente per mezzo di una
espansione fibrosa e cilindrica chiamata tendine. È una formazione molto
resistente, di cui si può osservare qualche esempio in quella specie di
cordoni, tesi sulla faccia interna del polso, che gli inesperti chiamano
erroneamente «nervi». Quando il muscolo ha più di due
estremità, a seconda del numero di questi «capi», è
chiamato bicipite, tricipite, quadricipite. Analogamente, può terminare
con più tendini, e allora prende il nome di bicaudato o di
tricaudato.
I muscoli o i gruppi di muscoli che
producono movimenti opposti (come i «flessori» e gli
«estensori» degli arti) si chiamano antagonisti. Quando invece
collaborano a una stessa attività sono detti sinergici. Generalmente, un
singolo movimento è prodotto da parecchi muscoli. I principali movimenti
muscolari sono: flessione, estensione, rotazione, adduzione (avvicinamento al
corpo) e abduzione (allontanamento dal corpo).
Si
è detto che la funzione muscolare è una delle invenzioni
più notevoli nella storia della vita. Infatti basta considerare che tutti
gli altri processi biologici come la respirazione, l'eliminazione delle scorie
organiche o la percezione luminosa si basano su fenomeni relativamente semplici,
come reazioni chimiche, osmosi, fotochimica,
ecc.
Nulla di simile, invece, per ciò che
riguarda la contrazione muscolare: qui la trasformazione dell'energia chimica in
energia meccanica presuppone l'esistenza di un processo complicato, che la
tecnica lana cominciò a realizzare tardivamente con la macchina a vapore
e secondo principi molto diversi quelli sui quali si fonda la natura. E vi
è da osservare che il rendimento del muscolo raggiunge il 55 %, quindi
è sempre superiore a quello dei migliori motori costruiti dall'uomo. Ma
in che modo, senza sviluppare temperature elevate, senza disporre di metalli e
di ingranaggi, il muscolo compie il suo lavoro?
Una
prima risposta è di natura morfologica, cioè proviene dalle
osservazioni fatte sul muscolo ingrandito, prima attraverso il microscopio
ottico, poi quello elettronico. Ogni fibrocellula, avvolta da una membrana
sottile ed elastica, contiene fra l'altro delle formazioni molto
caratteristiche: gruppi di fibre ancora più piccole dette fibrille,
formate a loro volta da unità cilindriche chiamate sarcomeri. Nel muscolo
striato, ogni sarcomero è una successione di dischi scuri e di dischi
chiari più o meno larghi.
Per ciascuna
specie animale, questi dischi si succedono in un ordine ben determinato.
Così, al microscopio, la fibra striata di un bicipite umano ha un aspetto
diverso da quello dei muscoli di un cavallo o di un topo, di un pesce o di
un'ape. In ogni sarcomero, i dischi scuri contengono una proteina chiamata
miosina, quelli chiari un'altra proteina detta actina. Queste due proteine, di
struttura fibrosa, si trovano raccolte a fascio in ciascun sarcomero. Ebbene,
sono proprio esse che determinano il fenomeno della contrazione muscolare. Ma in
che modo avviene questa contrazione? Che cosa accade nella fibra muscolare che
si raccorcia per sostenere uno sforzo?
Prima di
rispondere a queste domande, occorre dire a quale sorgente di energia si
rifornisce il motore muscolare. Tale energia si libera nell'interno stesso delle
fibrocellule. Per comprendere il complesso fenomeno della contrazione, occorre
tenere presente, anzitutto, che il muscolo è formato da cellule viventi
le quali, più di altre, hanno una respirazione molto
attiva.
Quando una cellula respira, cioè
consuma ossigeno, il glucosio (uno zucchero, combustibile-base degli organismi,
che è il fornitore primordiale di energia per la cellula) abbandona, con
ogni atomo di idrogeno, - o meglio con ogni elettrone che gli viene sottratto -
un poco della sua energia. L'elettrone, reso così libero, viene
immediatamente catturato da una serie di trasformatori chimici e
«cade» gradatamente a un livello energetico sempre più basso,
per giungere, completamente privo di energia, fino all'ossigeno con il quale si
combina.
Ma che cosa avviene di tutta l'energia
così liberata, a piccole tappe, a ogni caduta di livello dell'elettrone?
La cellula, economa, la mette da parte in una molecola speciale, l'ATP (sigla di
«adenosintrifosfato»), che contiene tre molecole di acido
fosforico.
Questa molecola, molto instabile e quasi
esplosiva, può liberare la sua energia alla minima sollecitazione. La
demolizione completa di una sola molecola di glucosio permette di
«caricare» 38 molecole di ATP. E l'ATP è in grado, scindendosi,
di liberare ben 12 mila calorie per
grammomolecola.
Questa sostanza, che si forma in
organi della cellula detti mitocondri, ha la funzione di un vero e proprio
accumulatore la cui energia può essere utilizzata al momento voluto.
L'ATP si ritrova nelle cellule anche in quelle non muscolari - ogni volta che un
fenomeno biologico richiede una fonte abbondante di
energia.
Nel fornire l'energia, l'ATP libera acido
fosforico e si trasforma in ADP (sigla di «adenosindifosfato»). A
questo punto il glucosio fornisce, sempre attraverso la sua demolizione,
l'energia necessaria per ricaricare, con un atomo di fosforo, l'ADP residuato
dalla scissione dell'ATP, in modo da trasformarlo in nuovo
ATP).
Nel muscolo vi è un secondo
accumulatore che ha funzione accessoria: la fosfocreatina, la quale è una
riserva di legami energetici, pronta a cedere all'ATP dei residui fosforici se
questi non possono essergli restituiti con sufficiente rapidità a spese
dei normali processi di demolizione del
glucosio.
Quando un'automobile si muove, la sua
dinamo produce corrente elettrica in modo continuo. Ma l'impiego di questa
corrente è discontinuo: alla partenza, per esempio, o quando si viaggia
lentamente di notte. il consumo di elettricità aumenta fortemente. Ma la
vettura è dotata di un accumulatore, destinato a sopperire a questi
fabbisogni intensi e discontinui.
Nella cellula
muscolare, i processi respiratori producono energia che è accumulata
nell'ATP. Nel momento in cui avviene la contrazione, l'accumulatore ATP si
scarica bruscamente trasformandosi in ADP. Il muscolo esaurito da uno sforzo
troppo prolungato e troppo violento può essere paragonato a una batteria
di accumulatori scarica. II muscolo affaticato diventa incapace di
contrarsi.
Per «ricaricarsi» deve
rifornirsi di energia e di una grande quantità di ossigeno, ossia
respirare intensamente e ricostituire, partendo dall'ADP, le molecole di ATP.
Perché ciò avvenga, bisogna che vi sia glucosio a sufficienza: e
tutti i muscoli contengono una forte proporzione di glicogeno (uno zucchero di
riserva, fabbricato dai muscoli stessi a partire dal glucosio) che si
ritrasforma in glucosio sotto l'azione di un enzima
(fermento).
Dopo aver detto dove si trova la
sorgente di energia, si può spiegare come avviene la contrazione
muscolare. Si tenga presente che nei sarcomeri (unità elementari delle
fibrille muscolari) i dischi scuri contengono miosina; quelli chiari actina,
cioè le due proteine che determinano la contrazione muscolare. Ma prese a
sé, né la miosina né l'actina sono in grado di contrarsi.
Perché la contrazione avvenga, bisogna che si uniscano temporaneamente in
una sola molecola, l'actomiosina.
Il meccanismo
della contrazione muscolare ha trovato le sue prime interpretazioni, a livello
delle molecole, da parte di ricercatori tra i quali primeggiano
Szent-György e Davies. Oggi i consensi maggiori, e pressoché
unanimi, vanno alla teoria di Davies che ha trovato conferme anche attraverso
indagini di microscopia elettronica e calcoli
biochimici.
Secondo Davies, il meccanismo che mette
in moto la contrazione muscolare si fonda sulla liberazione di calcio ionico,
ossia con i suoi atomi dotati di carica elettrica. Lo ione di calcio, infatti,
con le sue due cariche positive, si collega da un lato, all'ADP che è
alla superficie dell'actina, e dall'altro all'ATP che è all'estremo delle
ramificazioni di miosina, in modo da trasformare queste ultime in ponti che
ancorano, obliquamente l'una all'altra, le due proteine
fibrose.
Inoltre il calcio, neutralizzando la
carica negativa dell'ATP, annulla anche la repulsione elettrostatica fra
l'estremo della ramificazione e l'asse principale della miosina. Ed ecco che la
ramificazione tende a disporsi nella sua configurazione naturale, che è
quella di una spirale. Il ponte che collega l'actina alla miosina va così
incontro a un raccorciamento, costringendo le due proteine fibrose a scivolare
l'una lungo l'asse dell'altra, ossia a completare la contrazione
muscolare.
L'apparato muscolare
Fibre muscolari
LA FATICA MUSCOLARE
Alla base delle ramificazioni di
miosina esiste un enzima che ha il compito di liberare energia, scindendo il
legame fosforico ad alto livello energetico nella molecola dell'ATP.
Così, quando il ponte tra actina e miosina si avvolge a spirale come una
molla, l'ATP entra nella sfera d'azione dell'enzima ed è scisso in ADP e
in fosfato. Ne consegue che il ponte viene tagliato nettamente in due, mentre
l'actina e la miosina perdono il vincolo che avevano stabilito, e la contrazione
viene a cessare.
Finché esiste ATP
nell'ambiente, il ciclo può sempre rinnovarsi. L'ADP residuato alla
scissione operata dall'enzima può infatti «ricaricarsi»
immediatamente a spese di altro ATP. Le ramificazioni della miosina riacquistano
quindi una carica negativa al loro estremo e sono nuovamente distese dalla
repulsione elettrostatica. Così sono pronte, grazie all'azione degli ioni
di calcio, a ristabilire un nuovo ponte con l'actina, contraendosi e facendo
scivolare per un ulteriore tratto, l'una lungo l'altra, le due proteine fibrose
muscolari. Fin tanto che nel muscolo trovano gli ioni di calcio, le
ramificazioni della miosina afferrano e tirano ritmicamente l'actina, come le
braccia di una fila di uomini che tirino una
fune.
La contrazione ha fine soltanto quando gli
ioni di calcio sono allontanati dal contatto con l'actina e la miosina. Questo
allontanamento richiede che venga messa in moto una specie di pompa detta
«fattore di rilasciamento», non ancora ben conosciuta nei suoi
particolari, ma la cui esistenza è stata sperimentalmente
dimostrata.
Si è parlato di fibre muscolari
e dei loro elementi costitutivi fino a quelli molecolari. Ma altri problemi si
pongono passando alla scala del muscolo e a quella dell'organo intero che
lavora. Il muscolo al lavoro spende molta energia, la respirazione cellulare
è intensa e il consumo di ossigeno può raggiungere fino a 20 volte
il valore normale. Per tale ragione, le cellule muscolari dispongono di una
molecola proteica, una emoglobina speciale: la mioglobina, che ha il compito di
accumulare ossigeno in caso di richiesta intensa. Malgrado ciò,
l'ossigenazione del muscolo ha i suoi limiti, e accade che le cellule muscolari
abbiano scarsità d'ossigeno.
Ora, nella
cellula che respira, l'ossigeno ha la funzione di asportatore: esso infatti,
combinandosi con gli ioni positivi di idrogeno privi di energia, sbarazza la
cellula delle sue scorie pericolose. Altrimenti, l'accumulo di ioni di idrogeno
provocherebbe nell'ambiente cellulare una acidificazione dannosa per
l'equilibrio ionico ed elettrico della cellula
stessa.
È evidente che, a questo punto, la
contrazione muscolare si ferma. Tuttavia questo arresto del lavoro meccanico non
impedisce che la cellula sia minacciata da un grave pericolo: se continua a
respirare, accumula ioni positivi di idrogeno ed è minacciata da acidosi;
d'altra parte, se smette di respirare, va incontro alla
morte.
Ebbene, la cellula muscolare supera questa
contraddizione utilizzando un modo di respirare molto particolare: quello dei
batteri detti anaerobi perché vivono in assenza di ossigeno, come i
batteri della fermentazione. In tal modo, la cellula muscolare produce una
sostanza detta acido lattico. Esso proviene da una demolizione incompleta del
glucosio, la quale produce meno energia che la demolizione completa, ma assicura
tuttavia un certo apporto energetico, sufficiente per consentire alla cellula di
sopravvivere.
La formazione di acido lattico nel
muscolo affaticato provoca disturbi caratteristici e viene considerata,
soprattutto dagli sportivi, come un brutto inconveniente. In realtà si
tratta di una invenzione naturale molto ingegnosa, di un meccanismo di
protezione che, ostacolando l'accumulo di ioni positivi di idrogeno, i quali
modificherebbero troppo fortemente l'ambiente cellulare, mantiene in vita la
cellula muscolare anche dopo che questa ha compiuto un lavoro
intenso.
Finora si è parlato soprattutto di
muscoli striati, ossia di quelli degli arti e del tronco. E ciò
perché i muscoli dell'altro tipo, quelli lisci o involontari, sono
così diversi dagli striati, che è preferibile trattarne a
parte.
I muscoli striati, detti volontari,
dipendono interamente dal sistema nervoso. Se si seziona un nervo motore
all'estremità superiore di un muscolo striato, questo muscolo non si
contrae più. Resta completamente immobile se non viene stimolato da una
scossa elettrica o meccanica.
Ma se si tratta di un
muscolo liscio, si riscontra che, nelle stesse condizioni, esso continua a
muoversi: un frammento di intestino, messo in una provetta e bagnato con liquido
fisiologico, continua a contrarsi in modo regolare, sempre secondo il proprio
ritmo. L'eccitazione, o l'assenza di eccitazione nervosa, provocano una
modificazione del ritmo, ma solo la morte è in grado di far cessare
l'attività meccanica di un frammento di muscolo
intestinale.
Questa differenza fondamentale dei due
tipi di muscolo è basata su una differenza, egualmente fondamentale,
della loro origine embrionale. I muscoli striati - detti anche muscoli dello
scheletro perché si trovano in connessione con esso - provengono dal
mesoderma, cioè dal foglietto medio dell'embrione. I muscoli lisci,
invece, sono formati dalla differenziazione del mesenchima, la parte più
interna dell'embrione. Tessuto di riempimento, il mesenchima darà anche
origine, nell'organismo adulto, al tessuto connettivo, alle cellule sanguigne e,
in particolare, ai globuli bianchi.
Ebbene, i
globuli bianchi sono cellule dotate di una proprietà notevole,
l'ameboidismo, che nell'organismo evoluto esse sole possiedono. Come si è
detto all'inizio, l'ameboidismo è anzitutto una caratteristica di quegli
animali unicellulari che sono le amebe, e in esse è stato maggiormente
studiato fin dal secolo scorso. Ma il suo meccanismo fondamentale è
certamente lo stesso anche nei globuli bianchi.
Il
movimento ameboide, rimasto a lungo misterioso, oggi è stato parzialmente
chiarito. Ancora di recente, si credeva che fosse provocato dallo scorrimento
del citoplasma e da continui cambiamenti di consistenza del citoplasma medesimo.
Attualmente sembra più probabile che il movimento ameboide abbia una base
comune con le contrazioni muscolari. Infatti le amebe contengono, come il
muscolo striato e quello liscio, molecole di actina e di miosina, le due
proteine fondamentali dei sarcomeri le quali come si è detto, entrano in
contatto provocando la contrazione
muscolare.
Questa constatazione è molto
importante perché, se i muscoli lisci hanno la stessa origine embrionale
dei globuli bianchi, le loro cellule devono aver conservato le stesse
proprietà. Poiché tali cellule sono avvolte da una sostanza
inerte, percorsa da fibre connettive, la loro proprietà ameboide si
tradurrebbe non in spostamenti, ma in una contrazione ritmata, dovuta
all'esistenza dell'actina e della miosina.
Con le
amebe, la natura aveva trovato una prima soluzione valida per il movimento
animale. Questa formula è ancora valida; anzi, si è perpetuata
attraverso l'intera evoluzione, specializzandosi in quei movimenti interni
dell'organismo che permettono la nutrizione e assicurano numerose funzioni
vitali negli animali superiori.
Si tratti di
muscoli dell'esofago, dello stomaco o dell'intestino, lungo l'apparato digerente
si incontrano solo fibre muscolari lisce. Pure il sistema circolatorio ha la
stessa origine: eccetto il muscolo cardiaco, le pareti dei vasi sanguigni hanno
tuniche muscolari costituite da fibre lisce.
Anche
senza voler fare riferimento ai globuli bianchi - che sono veramente analoghi
alle amebe - sembra dunque che la soluzione del movimento ameboide sia stata
ripresa e sviluppata in tutta la scala animale, conservandogli le
caratteristiche proprie.
Ed è proprio su
tale movimento che si basa, infatti, tutto il funzionamento fisiologico degli
animali.
I muscoli striati, localizzati
essenzialmente negli arti e nel tronco, hanno senza dubbio un'importanza
primaria perché assicurano la locomozione e la prensione. Ma non sono
strettamente indispensabili per la sopravvivenza. Nei casi più gravi di
poliomielite, tutti i comandi nervosi dei muscoli striati sono paralizzati,
eppure vi sono malati che hanno sopravvissuto per molti anni nel cosiddetto
«polmone d'acciaio». Questo esempio illustra in modo incontestabile il
primato del muscolo liscio nel funzionamento organico, cioè il primato
della soluzione amebica nel movimento degli
animali.
Parlando di muscoli, non si può
fare a meno di accennare che essi sono sede di fenomeni elettrici il cui studio
costituisce l'elettrofisiologia, la quale include anche l'elettricità
nervosa. Le prime ricerche sugli effetti degli stimoli elettrici sui muscoli
risalgono al 1780 e furono iniziate da Luigi Galvani con i suoi storici
esperimenti compiuti su rane scuoiate.
Ecco come
nel muscolo si generano i fenomeni elettrici. Quando si trova allo stato di
riposo, ossia rilassata una fibra muscolare è polarizzata con la
superficie esterna carica positivamente, e l'interna negativamente. Quando viene
stimolata a contrarsi, lo stimolo provoca una depolarizzazione nella membrana di
separazione e un'onda di negatività che si trasmette, come corrente
d'azione, lungo la fibra stessa. Tale corrente precede di una frazione di
secondo il fenomeno della contrazione.
Oggi, a
quasi due secoli di distanza dalle celebri esperienze di Galvani, lo studio dei
potenziali delle correnti bioelettriche nei vari tessuti, e dei muscoli in
particolare, è molto progredito. Da un lato, l'elettricità e il
magnetismo sono entrati a far parte anche della biofisica (ossia dei fenomeni
fisici che avvengono negli organismi viventi). Da un altro lato, sono entrati
nell'uso strumenti di misura e di registrazione sempre più
sensibili.
In tal modo l'elettrofisiologia ha
compiuto progressi sorprendenti, non inferiori a quelli della biochimica con la
quale forma un settore di studi e di indagini destinato ad avere una funzione
rivoluzionaria nella biologia dell'avvenire.
I muscoli degli arti superiori
I principi che sottendono alla contrazione muscolare